Affrancazione del prezzo massimo di cessione nell’edilizia convenzionata
Quando si acquista un immobile costruito in regime di edilizia convenzionata con il Comune, che abbia concesso al costruttore, in diritto di superficie, le aree sulle quali debba edificarsi l’edificio, è necessario prestare attenzione al c.d. “prezzo massimo di cessione”, cioè al prezzo massimo al quale è possibile vendere la proprietà del proprio immobile (o più precisamente, la relativa proprietà superficiaria) qualora lo si voglia alienare.
Molto di frequente, infatti, le Convenzioni stipulate dai Comuni con i soggetti (in genere cooperative) che edificheranno l’edificio sul terreno di proprietà dell’Ente pubblico, richiamando l’art. 35 della legge n. 865 del 1971 stabiliscono in modo chiaro e tassativo che tutte le vendite degli appartamenti che fanno parte del fabbricato, anche quelle successive alla prima, debbano rispettare un prezzo massimo di cessione; tale prezzo massimo di cessione non può essere superato ai sensi e per gli effetti di quanto inequivocabilmente, e inderogabilmente, previsto dal suddetto art. 35 della legge n. 865/1971.
Il principio è stato confermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18135 del 16/09/2015. La Cassazione ha, infatti, ribadito che il vincolo relativo al prezzo massimo di cessione (e al prezzo massimo di locazione) può essere rimosso solo attraverso la procedura di affrancazione, che comporta il pagamento di una determinata somma in favore del Comune, calcolata secondo particolari parametri; con l’affrancazione viene meno l’obbligo di rispettare il predetto “prezzo massimo” e il diritto di proprietà superficiaria può essere alienato al prezzo, anche maggiore, concordato con l’acquirente.
Con tale sentenza, la Cassazione ha, inoltre, riaffermato che è nulla la clausola contrattuale che, nell’atto di compravendita dell’immobile, abbia stabilito un prezzo di vendita superiore a quello “massimo” stabilito dalle norme della Convenzione in combinato con quelle della legge sopra indicata.
Pertanto, secondo tale sentenza, l’acquirente che abbia pagato un prezzo più elevato rispetto a quello fissato dalle disposizioni inderogabili innanzi menzionate, potrebbe avere diritto a chiedere al venditore la restituzione delle somme indebitamente pagate in eccedenza rispetto al prezzo “massimo” in questione.
Di recente, il Decreto Legge n. 119/2018 è tuttavia intervenuto incisivamente in materia di rimozione dei vincoli relativi al prezzo massino di cessione, stabilendo che la domanda di “affrancazione” può essere presentata da persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile in questione.
Altrettanto incisivi e rilevanti gli effetti che la nuova norma fa discendere dalla presentazione della domanda di affrancazione, in quanto viene stabilito che, in pendenza della rimozione dei vincoli sul prezzo massimo, il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato.
L’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli stessi.
La rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione comporta, altresì, la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva e le nuove disposizioni si applicano anche agli immobili oggetto dei contratti di compravendita stipulati prima della sua entrata in vigore.
La richiesta di rimborso della differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato si estingue con la rimozione dei vincoli relativi al prezzo massimo di cessione.